Stagioni e passioni

Il cinema coreano tra passato e presente

Autori: a cura di Pierre Rissient con la collaborazione di Isabella Malaguti, Andrea Morini e Fausto Rizzi.

Editore: Ente Mostra Internazionale del Cinema Libero

Prima Edizione

Se all'alba dei tempi la Corea è stata il 'paese del calmo mattino', nulla del cinema che oggi conosciamo lo lascerebbe immaginare. Crudo, selvaggio, vitale, il cinema coreano ha attraversato dopo la guerra di Corea (1950-53) il suo decennio prodigioso, che solo ora cominciamo a scoprire: il decennio di Shin Sang-ok, certamente, ma anche di Yu Hyun-mok, Kim Ki-young, Kim Soo-yun, Lee Man-hee e probabilmente altri ancora. Gli aggettivi forti che ho scelto non dovrebbero tuttavia farci dimenticare la dolcezza letale, ma quasi elegiaca, d'un film come "My Mother and Her Guest". Dopo questo risveglio per troppo tempo ignorato, un lungo oscuramento politico ha spezzato tanta formidabile creatività; ma all'inizio degli anni Otanta è apparsa una nuova generazione, quella di Jang Sun-woo, Park Kwang-su, Lee Chang-dong ma sopratutto di Im Kwon-taek che con "Mandala" e "The Surrogate Mother", per il quale la magnifica Kang Sooyun vinse il premio per l'interpretazione femminile al festival di Venezia del 1987, s'imponeva come il maggior cineasta del suo paese. Certamente l'esempio di Im ha ispirato l'avvento d'una nuovissima generazione che, fatto raro, è a un tempo profondamente radicata nella cultura del suo paese e moderna quanto i più moderni cineasti internazionali.

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