Morto Stalin se ne fa un altro

Morto Stalin se ne fa un altro

Titolo originale: Death of Stalin

La sera del 28 febbraio del 1953, Radio Mosca diffonde in diretta il “Concerto per pianoforte e orchestra n. 23” di Mozart. Toccato dall’esecuzione che ascolta nella sua dacia di Kountsevo, Stalin domanda una registrazione. Poco dopo cade a terra, colpito da attacco cerebrale. Muore il 2 marzo, scatenando un conflitto feroce per la successione tra i membri del Comitato Centrale del PCUS. Centrato sull’agonia del tiranno e basato sulla graphic novel di Fabien Nury (sceneggiatura) e Thierry Robin (disegno), il film, spassosa commedia nera, evoca in filigrana la destalinizzazione e si consacra alla feroce guerra di successione aperta con la dipartita di Stalin. È un film pieno di “cattivi”, questa farsa crepuscolare, vero/falso racconto storico. Niente eroi, soltanto una gerarchia violenta e dannata, guidata da una sete di potere annegata nella vodka. In quell’areopago di farabutti che è il Politburo, Beria è il peggiore di tutti. Interpretato con disinvolta dissolutezza da Simon Russell Beale, alterna alla contrizione ufficiale la soddisfazione intima. Bramoso di potere, ruba i dossier segreti di Stalin per ricattare i suoi compagni-avversari. Il sorriso sardonico, dietro le lenti opache, fa il paio col sadismo ostentato (Beria fu predatore sessuale seriale), producendo un mostro. Al suo fianco, gli altri dignitari appaiono frignoni smidollati col busto correttivo (Malenkov), carrieristi modesti (un sublime Steve Buscemi), pusillanimi rassegnati (Molotov). Ma in realtà anch’essi furono spietati assassini, complici delle grandi purghe staliniane che uccisero milioni di persone. Il film volge in farsa divertente la loro lotta per il potere: fantocci, certamente, ma autentici bastardi. Il regista, tra realismo e dileggio, dipinge un quadro in cui regnano terrore, paranoia, ricatto, delazione, inganno, perversità di  una élite bolscevica fanatica e caricaturale. Così stupida da deportare nei gulag anche i medici che potevano curarla. Si ride tanto nel film, ma si ride amaro.

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