Viaggio in Giappone
Un film apparentemente piccolo, ma pensato, scritto e girato così bene, da ricordare non tanto Lost in Translation di Sofia Coppola dalla trama similare, quanto invece il cinema di François Truffaut, sia nei toni che nei sapori.
Un film apparentemente piccolo, ma pensato, scritto e girato così bene, da ricordare non tanto Lost in Translation di Sofia Coppola dalla trama similare, quanto invece il cinema di François Truffaut, sia nei toni che nei sapori.
CANDIDATO AGLI OSCAR 2024 - MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE
Una delle tante buone decisioni prese dal regista e dal suo co-sceneggiatore è che il personaggio principale, la giovane insegnante Carla Nowak, non è un’insegnante di tedesco. Né insegna religione o storia, nessuno di quegli argomenti che vengono in mente quando un regista vuole raccontarci le difficoltà della coesione sociale.
VERSIONE RESTAURATA DALLA CINETECA DI BOLOGNA
Mettiamola così: Il grande Lebowski è il non plus ultra del cinema coeniano. Osservatorio privilegiato del loro inconfondibile congegno autoriale, nonchè svelamento divertito e divertente del loro laboratorio metacinematografico.
COLLEGAMENTO LIVE CON I REGISTI PRIMA DEL FILM - INGRESSO 6 EURO
Esistono i contesti. Tatami, un film che di per sé avrebbe una sua rilevanza per l’inedita – e audace – collaborazione tra un regista israeliano (Guy Nattiv) e un’attrice iraniana per la prima volta anche dietro la macchina da presa (Zar Amir Ebrahimi, vincitrice a Cannes 2022 per Holy Spider), arriva in Italia in due passaggi, prima con un’uscita evento nella giornata delle donne (8 marzo) e poi in programmazione ordinaria dal 4 aprile.
“Come ti vedi tra 10 anni?”. Corre contro il proprio tempo Antonia, detta Toni, madre vedova di cinque figli che la occupano quasi completamente. Ha 43 anni e vent’anni prima aveva inciso una hit di grande successo ma poi non ha potuto proseguire la carriera musicale.
Il cinema di Ryūsuke Hamaguchi vive da sempre di polarizzazioni dialettiche: la città e la campagna, il silenzio e la parola, la realtà e la finzione, il destino e il caso, la periferia e i centri urbani, la perdita e il riscatto, la prossimità e la distanza.
CANDIDATO ALL'OSCAR 2024 PER IL MIGLIOR FILM E MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Una lunga sequenza di apertura in un bar mostra una donna attorniata da due uomini. Possiamo provare a indovinare i loro rapporti: amanti, amici, colleghi? Celine Song, in questo film fortemente autobiografico, già pluripremiato e in corsa per l’Oscar, esplora i turbinii dell’amore
La vita e soprattutto gli insegnamenti del maestro B.K.S Iyengar, una delle personalità mondiali dello yoga scomparso nel 2014 a 95 anni, sono gli elementi principali del documentario.
È una cosa di cui ho bisogno? È una cosa di cui ho bisogno adesso? Due domande bastano a Toledano e Nakache per strutturare un film alle loro abituali regole di base, l’impegno politico ed un tono da commedia, si tratti di fare luce sui problemi legati all’handicap come avviene in Quasi amici, di questioni inerenti i permessi di soggiorno in Samba, o dell’affresco corale di C’est la vie, che da una festa di matrimonio riesce a mettere in tavola un’allegra lotta di classe.
Il film prende il suo titolo da un verso dell’opera più famosa di Samuel Beckett, Aspettando Godot. “Forse potrebbe prima ballare e poi pensare”, dice il vagabondo Estragon dello schiavo di Pozzo Lucky, che poi procede a fare entrambe le cose in un tipico modo assurdista beckettiano.
CANDIDATO OSCAR MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE
Si chiama Hirayama, proprio come il protagonista dell’ultimo film di Ozu, Il gusto del sakè. Lavora come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo. Conduce una vita abbastanza abitudinaria. Parla pochissimo e ha una grande passione per la musica, i libri e gli alberi che ama fotografare.
VERSIONE RESTAURATA DALLA CINETECA DI BOLOGNA
La leggera invisibilità dell’angelo. La necessaria pesantezza dell’uomo. Tutto Il cielo sopra Berlino vive di questa dicotomia apparentemente non ricomponibile. Wim Wenders cerca un punto di vista fuori dall’umano per fare parlare i luoghi, dare una voce alle strade, alle piazze, ai muri, alle chiese, ai cieli capovolti.
The Store è un film di mostri. Un film di maschere deformi, quasi ci trovassimo di fronte ad un horror, dove, però, è la brutalità della società contemporanea, prima a spaventare e poi ad atterrire lo spettatore. Tutta la crudeltà di un mondo governato dal capitale viene così esplicitata in un dialogo diretto tra realtà ed animazione stop-motion.
CANDIDATO OSCAR MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE - PREMIO DELLA GIURIA CANNES 2023
A un certo punto del film, un film sognatore e disincantato, realista e surreale allo stesso tempo, vediamo sulla parete del cinema dove vanno i due protagonisti il manifesto di “Breve incontro” di Lean. E un breve, troppo breve incontro potrebbe essere quello tra Ansa e Holappa, due dropouts che incarnano magnificamente la filosofia del regista finnico.
La depressione è una malattia da bianchi. È quel che dice Rose al figlio Ernest, silenzioso e malinconico. Ed è il suo modo di spronarlo e incoraggiarlo. Ma, a dire il vero, lei non è mai stata immune da questi problemi dell’anima.
Un omicidio che avviene alla luce del sole, o meglio, sotto le luci della ribalta; e la vittima, prima di morire, con un filo di voce denuncia gli assassini. Una donna con la parrucca bionda; scale a chiocciola; un viaggio in treno fatto di inseguimenti e malintesi; un altro omicidio.
Uri è un diciassettenne israeliano ossessionato dall’Olocausto. Vorrebbe andare in visita ai campi di concentramento polacchi, ma prima deve superare i suoi problemi di interazione con le persone.
Tre racconti, tre epoche, tre mondi: un'epopea proveniente dall'antico Egitto, una leggenda medievale francese, una fantasmagoria del XVIII secolo tra costumi e palazzi ottomani, per lasciarsi trasportare da sogni variopinti, popolati da splendidi dèi, tiranni ripugnanti, allegri giustizieri, furbi amanti, principi e principesse che fanno quello che gli pare, in un'esplosione di colori.
Cresciuto in una famiglia di rigida fede calvinista, Schrader è un autore eterodosso, fortemente originale, a partire dall’ammirazione per Bresson e il cinema “trascendente”, cui dedicò un libro. I suoi sono film noir incentrati su parabole morali; i suoi personaggi tipici viaggiano dalla corruzione alla purezza, anelano una qualche forma di redenzione. Il prototipo è il Travis Bickle di “Taxi Driver”, che Schrader scrisse per Scorsese. Il giardiniere Narvel Roth del titolo segue le orme tracciate dai personaggi dei precedenti film di Schrader. In particolare, dopo “First Reformed” e “Il collezionista di carte”, i due più recenti, forma una sorta di trilogia sulle fragilità e contraddizioni del maschio contemporaneo, un trittico che è in grado di scavare tra sentimenti complessi come l’amore e l’odio, non limitandosi a una semplice messa in scena che li definisca ma puntando invece ad una rappresentazione dell’emozione che scaturisce dalla purezza e dalla forza dell’immagine.
Straordinario documentario che tratteggia i particolari dell’annuale ritiro di migliaia di monache tibetane, svolto in piccole abitazioni in legno, che puntellano il vasto altopiano del Tibet.